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Kyenge: tutta la sua inutilità in cinque punti (ma anche di più)

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Uno spaccato di vita (un po’ lungo) più che una premessa: nel raggio di 500 metri da casa mia vivono una decina di famiglie extracomunitarie, una macedone, una pakistana e il resto sono marocchini e albanesi. Niente da dire su quella macedone, bambine educatissime che parlano perfettamente l’italiano (anche tra di loro e in casa), lavoratori, educati con tutti. I pakistani sono letteralmente chiusi su se stessi ma lavorano e i figli vanno a scuola. Estrema dignità anche se visibilmente poveri. Ma quando vado a vedere cosa fanno tutti gli altri, cioè l’80% delle famiglie extracomunitarie presenti nel raggio di 500 metri da casa mia, c’è di che rimanere interdetti.

kyengeLe tre famiglie albanesi sembravano ben integrate, poi poche settimane fa si è scoperto che dirigevano un consistente traffico di droga con tanto di minacce a chi non pagava. Arrestati, rilasciati ai domiciliari due giorni dopo, oggi liberi di girare comodamente ovunque. Ma sono i marocchini a mandarmi in bestia. Gli uomini non lavorano (nessuno di loro) e passano il tempo nel bar a parlare tra di loro, bere e fumare. Le donne lavorano tutte e mantengono la famiglia. Costrette a portare il velo. Tra di loro c’era anche una ragazza nubile che lavorava in fabbrica, che vestiva all’occidentale e che si era fatta una cerchia di amici italiani. Lo scorso anno è andata in vacanza in Marocco dove l’hanno costretta a sposarsi con uno che non aveva mai visto, è tornata con un bel velo e nessuno l’ha più vista. Sparita. Ogni tanto si sente urlare, volano schiaffoni e poi il silenzio. Sabato scorso uno di loro ha picchiato così forte la moglie (incinta di tre mesi) che è dovuto intervenire il 118. Denuncia? Nemmeno l’ombra. Applicazione della nuova legge sulla violenza sulle donne che prevede l’immediato allontanamento dell’uomo? Nemmeno a parlarne. Che ci vuoi fare – ti dicono – è la loro mentalità.

Ecco, e mi scuso per il lungo spaccato, è su questo che mi voglio focalizzare. Possiamo parlare di integrazione? Possiamo dire che questi extracomunitari sono integrati nella nostra società? Direi certamente di no, anzi. Adesso qualcuno mi dirà che in fondo è solo uno spaccato e che io sono così sfigato da vivere in un posto dove la percentuale di extracomunitari non integrati è altissima, ma che nel resto d’Italia non è così. Sicuri? Sicuri che a un Km o a 100 Km da casa mia la situazione cambi? Io invece sono sicuro che sia la stessa cosa.

E qui veniamo al succo del discorso. Ho avuto modo di dire altre volte che quando ho appreso che Letta aveva istituito il Ministero della Integrazione ne sono rimasto positivamente colpito perché ritengo che l’integrazione dello straniero sia di fondamentale importanza. Poi le cose sono andate diversamente e il Ministro della Integrazione, Cecile Kyenge, è diventata il Ministro della Immigrazione. Allora vorrei porre alcune domande al Ministro Kyenge (poche e generiche a dire il vero perché sarebbero centinaia e sarebbe da scriverci per ore) nel tentativo di riportarla a fare quello che dovrebbe fare e non quello che vorrebbe fare.

1 – Signora Kyenge, in tema di integrazione degli stranieri in Italia, che cosa sta facendo il suo Ministero? Io la risposta la so già, ma facciamo finta che sia disinformato.

2 – Signora Kyenge, è al corrente che in Italia migliaia di donne musulmane non possono godere dei loro Diritti e vengono molto spesso maltrattate dai loro mariti coperti da una sorta di “immunità culturale” che legalmente non trova alcun fondamento in Italia? Cosa intende fare per loro?

3 – Signora Kyenge, è al corrente che ogni anno centinaia di bambine (più che altro indiane e pakistane) arrivano in Italia perché date in spose a uomini che nemmeno conoscono? Lo sa che in Italia il matrimonio imposto per di più con una minorenne è un reato? E cosa intende fare a tal proposito?

4 – Signora Kyenge, in merito alla comunità cinese che è completamente isolata, cosa intende fare il suo Ministero per favorirne l’integrazione? Ed è al corrente che la maggioranza delle ditte cinesi usa solo operai cinesi (una sorta di discriminazione al contrario) e che in molti casi questi operai sono costretti (probabilmente perché clandestini) a lunghi e massacranti turni di lavoro per di più sottopagati?

5 – Signora Kyenge, ritiene che tutti questi problemi di integrazione possano essere risolti dando la cittadinanza italiana ai figli degli extracomunitari nati in Italia, oppure ritiene che occorra lavorare sulla loro cultura?

In particolare vorrei porre l’accento proprio sull’ultima domanda perché i fatti che ho raccontato nel mio lungo spaccato di realtà riguardano persone giovani, nella maggioranza dei casi nati e cresciuti in Italia. C’è davvero qualcuno che ritenga che quelle persone non avrebbero fatto quelle cose se avessero avuto la cittadinanza italiana? Oppure è il frutto di una cultura che fa a cazzotti con la nostra e che di certo non ha niente a che fare con l’integrazione? C’è qualcuno che pensa che se un bambino cinese ottiene la cittadinanza italiana si separerà dalla cultura isolazionista della sua comunità? E qualcuno pensa che se una bambina marocchina ottiene la cittadinanza italiana possa poi prendere le distanze dalla cultura islamica che considera le donne esseri inferiori?

Io penso di no perché è sulla cultura degli extracomunitari che occorre lavorare per una integrazione soddisfacente e non sulla loro carta d’identità. E il Ministero della Integrazione doveva servire proprio a questo, a inquadrare i problemi e a lavorarci, a programmare nel medio e lungo periodo dei progetti che portassero queste persone a integrarsi nella nostra società. Peccato che la signora Kyenge faccia tutto meno che questo.

PS e anche un po’ off-topic

Continuo a chiedermi come mai la signora Kyenge non usi la sua posizione per portare alla ribalta la disastrosa situazione che vive la sua terra natale, il Congo. Che si senta arrivata e quindi non senta il bisogno di pensare ai milioni di suoi concittadini che soffrono?

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